Nonno, mi Racconti la Guerra?
Nonno, mi Racconti la Guerra? è il
titolo della prima opera narrativa di Angelo Rubano, giovane cassinese scrittore
al suo esordio, perché dedito a fare altro nella vita.
Eppure
Angelo, nonostante i suoi impegni di lavoro, si è dedicato alla stesura di
questa prosa storica, perché interessato a raccogliere, nel volumetto poi edito
per il Centro di Documentazione e Studi Cassinati, nel Settembre del 2019, la
sua memoria dei fatti risalenti all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, così
come gli furono raccontati da suo nonno Agostino Secondino, in quanto testimone
diretto degli avvenimenti che nel libro racconta al nipote.
Agostino
è il nonno materno di Angelo, e la sua famiglia era a lui molto legata anche
per la vicinanza oggettiva delle due abitazioni di campagna, site una accanto
all’altra, nel territorio cassinese. Ciò facilitava il vai e vieni dei due
fratelli, Angelo e Gianfranco, tra la casa dei genitori e quella dei nonni
materni, dove spesso i due ragazzi andavano ad intrattenersi.
La
narrazione si dipana tra l’attualità del momento storico in cui avvenivano i
fatti, e la memoria di nonno Agostino, all’epoca della guerra partigiana di
liberazione, che vide schierarsi a sud della Linea Gustav il Comitato di
Liberazione Nazionale, le forze militari francesi di de Gaulle, e persino
alcuni contingenti marocchini, che combattevano per le armate francesi; e al
nord le forze di opposizione dei soldati tedeschi, nel vano tentativo di
limitare l’avanzata dell’esercito anglo americano degli alleati, che risaliva
la penisola, rompendo progressivamente le fortificazioni verso il nord, fino ad
arrivare alla Linea Gotica, sita sull’Appennino tosco emiliano.
L’evidenza
storica della narrazione si può delineare in due aspetti: da un lato la vita
agreste, ed il duro lavoro di devozione e fatica, fatto sulla terra da Agostino
e da sua moglie Ginetta, contadini infaticabili e ancora stabilmente legati
alla tradizione del mos maiorum, del padre di famiglia, buon amministratore dei
beni e del patrimonio da tramandare; e dall’altro lo sprezzante comportamento
tenuto dai tedeschi, capaci di ogni tipo di depravazione morale pur di
guadagnare un centimetro del loro spazio vitale sul nemico di guerra.
Da
una parte, perciò, i valori della famiglia e della tradizione contadina, che
vuol dire alzarsi presto, lavorare la terra, fare il pane in casa, badare alle
bestie, curare i rapporti di comunità e di buon vicinato; dall’altra
l’immoralità blasfema degli assassini, pronti ad uccidere per depredare un
anello d’oro; a lasciare cadaveri insepolti sul suolo di guerra; a distribuire
dolore, sofferenza e fame, privando gli esseri umani della dignità che li rende
differenti e superiori agli animali.
In
particolare, il pane, che viene poi prodotto in casa dai nonni Agostino e
Ginetta, diventa il simbolo della fame e della guerra, quando razionato in
tozzi piccoli e risicati, viene dato ai figli, perché basti per il pranzo e per
la cena. Ed è nel pane, che è un alimento prezioso perché ha valore di
sacramento, in quanto rappresenta il Corpo di Cristo, e la comunione fraterna
con Lui, che si gioca la partita tra la pace, in cui abbonda, e la guerra, in
cui scarseggia. Il cui surrogato diventa la razione K degli anglo americani,
che portano sempre con loro la scatoletta con i biscotti, le caramelle, la
cioccolata, che distribuiscono ai bambini, quando arrivano a liberarli
dall’invasione nazifascista nella guerra partigiana di resistenza.
Ma
in generale, ciò che viene fuori dai contrasti stridenti di questa narrazione
storica della memoria orale, è proprio il dissidio evidente tra la pace, dove
regnano i valori della condivisione comunitaria, e della gioia allegra della
vita; e la guerra, che porta solo morte e distruzione, e che fa dell’essere
umano un individuo più simile alla bestia che a se stesso.
Perché
di episodi privi di umanità si sono macchiati anche gli stessi anglo americani,
e i marocchini dell’esercito francese di liberazione, quando approfittavano
delle donne, per violentarle e derubarle, e quando, insieme ai tedeschi, si
rendevano protagonisti di sciacallaggio e ruberie.
La
guerra, in quanto tale, priva l’umanità di quella sensibilità che distingue la
comunità dal singolo, interessato solo a salvare se stesso. Essa è lo
sfilacciamento di quelle maglie sociali che fanno rete, e che permettono a
ciascuno di credere in un noi costruttivo e propositivo per tutta la collettività;
e asseconda lo sradicamento di cui tratta Simone Weil ne La Prima Radice,
quando si attarda a raccontare gli eventi dell’attacco di Parigi, messa sotto
scacco dai tedeschi tra il 1940 e il 1941.
Vi è
poi, in questo lavoro, un’evidenza imprescindibile che fa dell’opera narrativa
un racconto prezioso ed ineguagliabile della memoria storica, che non si
costruisce soltanto sulla scrittura dei fatti accaduti, ma si tramanda anche, e
soprattutto, in alcune culture contadine, attraverso il racconto orale di padre
in figlio, alle generazioni successive.
Ad
Angelo Rubano va poi il merito di aver saputo fermare su carta quelle memorie
orali udite dai suoi nonni, e di averne fatto un lavoro che acquisisce, così,
un suo portato di autentica testimonianza e di fonte storica per ulteriori
ricostruzioni successive.
Nota biografica dell’autore
Angelo
Rubano nasce a Cassino 41 anni fa. Dopo la laurea in Economia perfeziona la sua
formazione professionale nel nord Italia e all'estero per poi rientrare in
Ciociara, dove attualmente ricopre un incarico di funzionario nel settore
pubblico. Vive a Cassino e lavora tra Roma e Frosinone. È alla sua prima
esperienza da scrittore ma chi ha avuto modo di leggere questo primo libro ne
richiede già un seguito. Numerose sono le città che hanno
richiesto la sua presenza per presentare quest'opera. La sua grande stima per il nonno e la passione per la
storia del nostro territorio lo hanno portato a imprimere nelle pagine di
questo libro vicende, valori e tradizioni che aiutano a tenere viva la memoria
nonché il senso di appartenenza.
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