Dolore Minimo


Ho letto tutto d’un fiato, nell’arco di un solo pomeriggio, un bellissimo libro di letteratura e poesia che ho ricevuto in dono a Natale.

Si tratta di Dolore Minimo, scritto da Giovanna Cristina Vivinetto, giovane esordiente, nel 2018, con questa lirica a sfondo autobiografico.

Lei, transessuale, nasce a Siracusa nel 1994. Si laurea in Lettere, e vive attualmente a Roma, dove studia Filologia Moderna presso la Sapienza.

In un luogo dalla mentalità asfittica, come è ancora oggi la terra di Sicilia, in una famiglia tradizionale, primo di due figli maschi, Giovanni scopre a tredici anni di sentirsi donna in un corpo virile.

La madre comprende subito il disagio del figlio, ed è lei la figura femminile che accoglie e accompagna Giovanni al vero parto di se stesso, nelle sembianze del suo doppio Giovanna. Lei, quella madre che non aveva saputo partorire la vera essenza di suo figlio, generandolo come lui non si sentiva di essere, è la sola a capire il dolore della sua creatura, ed è l’unica ad invitarlo a divenire ciò che già sente di essere nel suo intimo.

Il padre, come tutti i genitori maschi di figli maschi, subisce il tradimento, ma è anche capace, per amore del figlio, di accettare che muoia Giovanni per veder nascere Giovanna.

E Giovanna viene alla luce a vent’anni, tra lo stupore incredulo dei parenti, vicini e lontani, e della gente che non capisce, e che sa solo giudicare.

Inizia così la difficoltà di doversi presentare ai corteggiatori che la credono femmina, ignorando le pillole di ormoni che Giovanna è costretta a prendere ogni giorno, mattina e sera, condannata da un insolito destino a doverle assumere per tutta la vita.

“Eppure sembri una normale” – è l’ultimo apprezzamento sincero, ma terribilmente feroce, ad un tempo, di uno dei suoi uomini che la lascia dopo la dichiarazione.

Normale, cosa vuol dire “essere normale”?

Solo un dolore minimo, ma pur sempre un dolore, è quello che si prova ogni volta che si viene giudicati dall’esterno, per il solo fatto di voler essere e diventare quello che da sempre già si è.

Non è innaturale diventare se stessi, assumere fino in fondo la propria natura. Sarebbe innaturale la menzogna, il travestimento sotto mentite spoglie. Eppure quella strada, preferita da molti, sembrerebbe la più facile ed ovvia.

Giovanna vuole la verità, della sua vita, della sua essenza. E la ricerca caparbiamente, contro tutto e tutti, subendo anche un licenziamento nella scuola per essere la “docente transessuale” che il Miur pensa i giovani non possano comprendere. Mentre probabilmente sono molto più avanti di noi, del pregiudizio, della cattiveria ignorante di chi pretende di poter giudicare la natura di un altro essere umano che non conosce affatto.


Ecco perché il suo libro è bello e grande. Perché è un’opera fine di poesia e di letteratura. Ma è, al tempo stesso, un manifesto di libertà e di liberazione, di lotta per i diritti umani, che invita ad essere sempre noi stessi, e non quello che gli altri vorrebbero fossimo.

"E ora che ho imparato ad amarti, tu, sofferta mia consolazione, tu ora hai deciso di non esserci più. Ora che una grande paura mi prende, ora che so di dover andare da sola..." è il grido disperato con il quale questo diario dell'anima si chiude. Giovanna è al funerale immaginario di Giovanni, come a quello di sua madre. Ora che lui/lei non ci sono più, si sente terribilmente piccola e sperduta di fronte al giudizio degli altri. Forse è il prezzo che bisogna pagare, perché dalle ceneri della fenice nasca un'altra espressione di vita più giovane e pura.

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